Mio nonno diceva: “L’è mejo brusar un paese che perder ‘na tradixion “.

 


In Friuli lo chiamano pignarul, nel Veneto occidentale brusavecia, tra il Trevigiano e il Veneziano pan e vin. Stiamo parlando dei falò dell’Epifania, molto diffusi in quasi tutto il Triveneto, ma che hanno ancora oggi un’ eco fino alla Sardegna. Sono oramai note le origini degli arborensi, un po’ meno forse le loro usanze. Tra queste non si può fare a meno di citare l’accensione dei fuochi propiziatori nella vigilia del 6 gennaio.

Si tratta di una tradizione che affonda le proprie radici nel culto precristiano del sole. Il rito segue un cerimoniale ben preciso, ma che varia a seconda dell’area di provenienza della famiglia. Ciò che oramai è uniforme è il nome col quale lo si indica “brusar la vecia”, dovuto probabilmente al fatto che moltissimi arborensi hanno i loro antenati sepolti nel delta del Po, in provincia di Rovigo. I Costella, famiglia materna di chi scrive, hanno però continuato a chiamarlo semplicemente pan e vin, come se la Livenza (fiume del Veneto orientale) fosse ancora lì a due passi a suggerire gli accenti sul come chiamare le cose.

In questi roghi si ammassava più o meno di tutto, fascine, paglia, etc, per poi meterghe de sora la vecia e impinzar el fogo. Una volta che questo era ben avviato si recuperavano alcune braci per cuocere il dolce tradizionale della Befana, la pinsxa: impasto preparato con farina bianca, polenta, zucca, uva passa, fichi, anice e semi di finocchio. Nel frattempo si recitava il rosario, le litanie e il te deum, per poi passare tra sacro e profano al canto ben augurante accompagnato da un got de vin. In base alla direzione delle faville si poteva quindi pronosticare il raccolto dell’anno agricolo. “Fuive verso sera, poenta pien caliera. Fuive verso matina, poenta molesina. Fuive a miudì, poenta tre olte al dì. Fuive a bassa, poenta pien cassa”.

Una festa semplice, povera nei mezzi. Forse proprio per questo ogni anno si vedono sempre meno fuochi lungo le strade della Bonifica. Pare che mio nonno dicesse “L’è mejo brusar un paese che perder ‘na tradixion”. Io però sono convinto che anche il prossimo anno avremo un buon raccolto e che a brusar el sarà sol che a vecia. Pan e vin per il cùo e per doman (pane e vino per oggi e per domani). Buon anno a tutti.

Rit. Pan e Vin, vin e pan per in cuo e per doman. Iee pan e vin[1]!

1 La pinsxa soto e bore, chi a presa core. Iee pan e vin!

2 Masa sachi de formento, masa sachi de taiamento. Su vedel, su porsxel, grazie a Dio e sul caretel. Iee pan e vin!

3 El paron sentà sul caregon ch’el beve un litro de quel bon. Iee pan e vin!

4 I Dio ne manda sanità e allegresxa el pan sua sxesta el vin sul caretel, la vecia sul sedel. Iee pan e vin!

5 Sto ano mi nà mandà un altro ano, se spererà che Dio alghimande in quantità. Iee pan e vin!

 

Tratto da http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=11300 – di Alberto Medda Costella