Il vessillo sventolava sulla galea di Domenico II Contarini (1585-1675) centesimoquarto Doge della Repubblica Marciana dal 1659 al 1675, il quale riposa nella tomba di famiglia, a Venezia, nella chiesa di San Beneto (San Benedetto da Norcia)

È stata presentata in Consiglio regionale la “Bandiera Contarina“, riproduzione del vessillo marciano del Doge Domenico II Contarini, il cui originale è esposto nella sala delle bandiere nel Museo Correr a Venezia.

L’evento è stato introdotto dal Presidente del Consiglio regionale, Roberto Ciambetti, dall’assessore alla Cultura e Identità Veneta, Cristiano Corazzari, e dai consiglieri regionali Luciano Sandonà e Alessandro Montagnoli. «Nelle rievocazioni storiche in Veneto vediamo vessilli improbabili o ricostruzioni disparate della bandiera marciana», ha spiegato Palmerino Zoccatelli, presidente del comitato “Veneto indipendente”, promotore dell’iniziativa. «Rifacendoci invece alla bandiera storica di Domenico Contarini abbiamo voluto mettere a disposizione di tutti gli appassionati un vessillo autentico, particolarissimo per altro nella foggia e nell’apparato iconografico particolarmente ricco. È il più bel vessillo veneziano giunto fino a noi».

La bandiera “Contarina” è ricca di elementi e si distingue in maniera netta dalla bandiera tradizionale nota ai più, riportando chiari richiami alla mitologia veneziana, sin dalla citazione dell’arcangelo Gabriele e l’Annunciazione, i legami alla pietà popolare e alla fede religiosa della Serenissima, con le effigi dei Santi Domenico e Francesco, quest’ultimo tra i protettori della città lagunare, Sant’Antonio da Padova e l’evangelista Marco, nonché la Madonna del Rosario. La bandiera è accompagnata da un opuscolo che ne spiega la storia e fornisce chiavi di lettura e interpretazione della simbologia voluta dal Contarini. Il primo ad avere l’idea di riprodurre il vessillo dogale è stato Albano Tassani e la sua ricostruzione «ha richiesto anni di lavoro e uno studio approfondito con Olivierio Murro che ha provveduto a integrare e migliorare la parti lacunose del gonfalone originale».

Il disegnatore Oliviero Murru ha provveduto ad integrare e migliorare le parti lacunose del gonfalone o quelle divenute difficilmente leggibili a causa dell’usura del tessuto, ripristinando l’originario splendore dei colori, alterati o ossidati dal tempo (si pensi, a puro titolo di esempio, alla bianca Colomba dello Spirito Santo imbrunitasi fino a diventare nera nel drappo originale).

Il gonfalone originale, di recente restaurato, è attualmente conservato ed esposto al Civico Museo Correr di Venezia, dove abbraccia un’intera parete. In seta rossa, il drappo misura m. 6,50 in lunghezza; m. 3,20 in altezza; mentre ciascuna delle sei code è lunga m. 2,50.

Ecco di seguito un breve estratto dall’opuscolo che accompagna il progetto di rifacimento della “Bandiera Contarina” (leggibile integralmente in fondo alla pagina):

Il Leone marciano effigiato nel gonfalone Contarini è destrogiro, ovvero è rivolto a destra, in direzione del pennone navale o dell’asta che sorreggeva la bandiera (come più frequentemente avveniva) e col muso girato verso l’osservatore. Tre quarti dei Leoni marciani andanti muovono solitamente verso sinistra, sono cioè sinistrogiri. Perciò questo Leone andante o passante, costituisce anche in questo una rarità. La fiera presenta la coda ritta a forma di S, dunque come il Leone in maestà, a sottolineare la sacralità dell’emblema e la personificazione in esso della Serenissima Repubblica. Il Leone simboleggia infatti l’Evangelista San Marco e intende con ciò indicare che il vero capo dello Stato Veneto è San Marco, del quale e del Cristo, il Doge è soltanto il rappresentante terreno. Si ribadisce così la concezione classico-cristiana della derivazione da Dio della Regalità e di ogni legittima Autorità: “Non est potestas, nisi a Deo; quae autem sunt, a Deo ordinatae sunt”, “Non v’è autorità (legittima) se non da Dio; e quelle che esistono, sono stabilite da Dio” (San Paolo, Lettera ai Romani 13, 1). I Re e le magistrature sono perciò soltanto i ministri e i luogotenenti terreni di Dio. Proprio a cagione di questa sacralità patria e religiosa, il Leone marciano è alato; il suo capo è attorniato da un nimbo o aureola d’oro, prerogativa questa dei Santi, simboleggiando San Marco, principale Patrono della Dominante. È raffigurato d’oro su campo rosso, seminato di fiammelle (e non di stelle) esse pure dorate, fiammelle che sono diretta emanazione della Colomba dello Spirito Santo, raffigurata al centro della bordura superiore della bandiera. Rosso e oro sono per eccellenza i colori della Regalità: si rammenti l’oro recato dai Re Magi (insieme all’incenso e alla mirra) a Gesù Cristo Bambino a Betlemme, nella festa dell’Epifania; e si ricordi altresì la tunica scarlatta e la corona di spine del Redentore durante la sua Passione. Il Leone fu assunto a sacro simbolo di San Marco, perché il suo Vangelo inizia con la predicazione di San Giovanni Battista nel deserto e con la sua chiamata alla conversione e alla penitenza, in preparazione della venuta del Cristo; il ruggito del Battista era simile, appunto, a quello di un Leone, Re del deserto. Leone che nella Sacra Scrittura è figura di Gesù Cristo, di cui il Battista è, appunto, il Precursore. Siamo in presenza di una bandiera di pace e di rappresentanza, come si evince sia dall’assenza di un Leone portaspada (ensifero) o portacroce, ch’erano tipici delle bandiere da combattimento; sia dalle fauci chiuse o semiaperte, senza intenti bellici o minacciosi.
La criniera è fiammiforme, secondo moduli ancora tardogotici, nonostante il contesto e l’ornato barocco dei fregi e dei ricami dorati, che impreziosiscono il vessillo; gli organi della riproduzione sono pudicamente non in vista (solo in Terraferma compaiono, di quando in quando, leoni sessuati, ma in questi casi il loro significato è più politico che religioso). Sotto la zampa anteriore sinistra il Leone regge un libro aperto, di colore argento e bordato d’oro, allusione sia al Vangelo di San Marco, sia all’apparizione dell’Angelo all’Evangelista, cui si rivolse con le celebri parole: Pax tibi, Marce, Evangelista mevs (Sia pace a Te, Marco, mio Evangelista). Secondo la Tradizione, infatti, un Angelo apparve a San Marco dopo che l’Evangelista aveva fatto naufragio nel Golfo di Venezia, da lui percorso in ragione del suo apostolato, pronunziando al suo indirizzo queste parole latine, finite poi sul vessillo e che costituivano anche la predizione che lì, a Venezia, un giorno avrebbero riposato le sue spoglie (“hic requiescet corpus tuum”, concludeva l’Angelo) come poi avvenne. Nell’828 infatti il corpo del Santo, sottratto alle profanazioni dei maomettani, che nel frattempo avevano occupato l’Egitto, veniva avventurosamente sottratto agl’infedeli e traslato via nave da Alessandria a Venezia, non senza prodigiosi eventi, dai marinai Buono da Malamocco e Rustico da Torcello. Le ali del Leone sono appunto quelle dell’Angelo, nell’episodio testé rievocato.

 

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