Correva l’anno 1867, il 17 marzo, per la precisione, quando il Direttore della Regia Direzione Scolastica Provinciale di Verona scrisse la presente lettera “Alle Onorevoli Giunte Municipali”.
Un interessante documento ottocentesco? Sì, ma non uno dei tanti. La sua datazione, infatti, promette di segnalare qualcosa di ancora più importante di una “qualsiasi” circolare para-governativa italiana della seconda metà dell’Ottocento in materia scolastica: si tratta di una delle primissime circolari di provenienza governativa con oggetto l’istruzione pubblica dopo il cambio di regime per il Veneto. Come è noto, il Veneto dopo essere stato sciolto dalla Corona Asburgica, essere stato passato alla Francia e poi reso a sé stesso, ha votato l’annesso al Regno d’Italia tramite il controverso referendum del 21-22 ottobre 1866; come ormai molti storici concordano, definirlo “controverso” è usare un eufemismo, ma questo è tutto un altro discorso. Ciò che importa qui è che questo documento di appena qualche mese dopo l’annessione del Veneto all’Italia ci fa capire in che cosa constasse il cambiamento di regime in termini di educazione e formazione.

“Chiamate dalla fiducia del Sovrano e del Popolo ad assumere l’ordinamento e la direzione della pubblica cosa in queste terre di recente aggregate a quel magnifico Regno d’Italia che fu l’inesaudito sospiro di tante generazioni, ed ora finalmente è composto, le nuove Giunte Municipali si accingono ad un còmpito grave bensì ma oltra ogni dire onorifico ed importante, poichè da esse in massima parte dipende appunto l’avvenire delle popolazioni medesime di cui reggono le sorti, che si collegano così strettamente a quelle della intiera Nazione.
Il campo della politica è più seducente, offre compensi più abbaglianti ed immediati, tiene l’anima occupata costantemente colle sue lotte fervide e varie. Quello dell’amministrazione à di primo tratto minori lusinghe, dà compensi più modesti e remoti, induce nell’anima la tranquilla dilezione del lavoro anzicchè le febbri battagliere ed ardenti. Ma in ricambio i risultati ai quali esso mena sono più certi e duraturi di quelli del primo. Infatti un’ottima amministrazione soltanto elabora efficacemente quella materia che allo stato bruto dicesi plebe, e che dopo rigenerata al lume della vera civiltà chiamasi popolo. Gli è per un’ottima amministrazione soltanto che si preparano al politico li elementi onde poter attuare i suoi sublimi concetti: e mentre il genio politico può d’ordinario galvanizzare per poco una nazione, e nulla più, l’amministratore le dà invece una vita reale, permanente e prosperosa.”

Come si è visto, il documento che magari ci saremmo aspettati essere tecnicamente programmatico delle necessità scolastiche, è in realtà un proclama alle giunte municipali che ci dà anche importanti informazioni di tipo politico, culturale e sociale. Dopo una forte invettiva contro l’austriaco nemico di “perfido istinto”, il documento continua così.
“<>, e con queste parole, più che alle care provincie che ancòra le mancano, il Re nostro alludeva per certo a quanto tuttavia le diffetta onde raggiungere quella universale e completa fusione delli animi di tutti i suoi figli che la metta per forza materiale e morale a livello delle più fiorenti nazioni, e renda la idea di una restaurazione del passato così stolta come è scelerata”.

Sicuramente tale evocata e subito scartata “restaurazione del passato” in Veneto significava riferirsi alla Serenissima Repubblica, di cui v’era stato un tentativo di rinascita con la (seconda) Repubblica Veneta proclamata a Venezia il 22 marzo 1848 (cioè appena 19 anni prima di questo documento). Ma il documento prosegue dandoci altre informazioni sui sentimenti e sulle consapevolezze di un uomo del potere governativo nella provincia veneta al passaggio di regime nella neonata Italia.
“La invitta nostra costanza, e li errori molti dei nostri nemici ne guidarono alla indipendenza ed unità della patria più presto di quanto era lecito sperare secondo li andamenti ordinarii delle umane vicende. Ma, non giova celarlo, questa cara unità sortita dallo intuito maraviglioso del popolo, e dalla poderosa minaccia dello straniero accampato fra noi è in oggi ancòra il portato del sentimento più che della ragione. Le genti d’Italia […] non sonosi ancòra formato tutte della unità nazionale quell’ampio e giusto concetto che le tragga nella convinzione profonda [di] come solo per essa il nostro paese possa appartenere veramente a sè stesso. […] Questa educazione difficile ma necessaria e importantissima incombe tutta alli Amministratori del Comune, cui le Leggi nazionali accordano sì larga parte di influenza nei destini della patria.”
Ed ancora, più avanti:
“Egli è in base alle premesse considerazioni che la R. Direzione Scolastica Provinciale credette opportuno rivolgere in proposito una parola alli Onorevoli Rappresentanti Municipali di questa Città e Provincia, non già perchè serva loro di eccitamento, ma perchè sappiano per essa che troveranno sempre in lei tutto quell’appoggio di cui potrà disporre onde ajutarli a compire nel più breve tempo possibile la nostra rigenerazione.
La vera educazione alla quale sospirano tutti li intelligenti ed onesti, e della quale abbiamo tanto bisogno, è quella che si effettua colla istruzione primaria od elementare, colle Scuole tecniche o reali, colli asili di carità per la infanzia, con quanto insomma tende a disgrossare le menti delle moltitudini che devono faticare nei campi o nelle officine, ad infondere nell’anima loro i sentimenti del giusto e dell’ingiusto, a rendere l’agricoltore ed il fabbro delli esseri che agiscono per azione spontanea della ragione, anzichè lasciarli ciechi stromenti che operano solo per l’impulso d’altrui, o per istintiva imitazione, come sono stati finora”.

Parole chiare, intenti cristallini.
Ai posteri l’ardua sentenza.