Dal giorno dopo che mio padre se n’è andato nel giugno dell’88, stroncato dalla silicosi, un grande senso di colpa mi ha  stretto il cuore e mi ha fatto tornare indietro alla mia infanzia vissuta per quasi cinque anni in Belgio ad Anderlues (Cherleroi) con Achille, mio padre, minatore a Fontaine l’Évêque e mia madre Ida. Anni lontani, sbiaditi nella memoria, quasi dimenticati, come  mi ero dimenticato (o mai interessato) ai sacrifici di mia madre e di mio padre. Comprendevo in ritardo di aver perso di un’occasione unica, mi tormentava il rimpianto per un grazie mai detto, per la mia ingratitudine verso un uomo che era stato un martire dimenticato da tutta lo società, da me in primis. E poi nei miei ricordi accantonati c’era anche il fratello di mia madre, Olindo, anche lui minatore morto sepolto vivo a soli 33 anni il 1 febbraio 1957 sempre a Fontaine l’Évêque. Era sposato da poco con una ragazza belga e tre mesi dopo la sua morte è nato il suo figlio: Olindo.

Ci sono voluti oltre vent’anni perché trovassi il coraggio ed il modo di arrivare a mio padre e a mio zio superando il  buio della morte, per chiedere scusa del mio incosciente menefreghismo, per poter ringraziare mio padre, per riportare alla luce le loro tribolate vite e i loro eroici comportamenti di mariti,  di padri, di italiani. Per merito di queste mie tardive riflessioni è nato il volume “I DUE VOLTI DELLA MORTE NERA – Morire di carbone in Belgio”. (320 pag.- € 20.000 – 2 edizione, Ed. Scantabauchi, Padova, 2013, quasi esaurito, si può solo ordinarlo all’autore) All’inizio doveva essere un semplice diario dove raccontavo la mia vita in rapporto a quella di mio padre, il suo peregrinare per il mondo (10 anni in Africa, 10 in Belgio, 2 in Svizzera), la mia ingratitudine, la morte di mio zio, e infine gli ultimi giorni di mio padre. Ma quando, frugando tra i suoi tanti ricordi e facendo una po’ di ricerca storica, mi sono reso conto di quanto fosse stata agghiacciante la storia dell’emigrazione italiana nel Belgio dal ’46 al ’63, in me è nato l’impulso irrefrenabile di andare oltre ai miei fatti personali per raccontare a chi non ha mai saputo la vergogna di un protocollo fra l’Italia e il Belgio che ha mandato letteralmente al macello i suoi figli, per mero interesse politico ed economico. “Guerra del carbone” era il nome di questa avventura che io nel mio libro ho raccontato nella seconda parte in forma di scorrevole saggio e ho poi terminato con una serie di interviste in Italia e in Belgio a loro, i minatori. Dalle loro voci e da quelle dei loro familiari ho ascoltato storie incredibili: storie di sofferenza, di morte, di fatica, di tristezze, soprusi, nostalgie, ma anche di dignità, coraggio, forza, solidarietà, integrazione. Il libro ha incontrato il favore di tanta gente e ha avuto un buon successo insperato sia in Italia che in Belgio motivandomi ancora di più a portare avanti questo mio impegno. Questo per far sì che quel tragico periodo storico che ha visto un esodo di massa (circa 140.000 giovani uomini) verso le miniere belghe dove circa mille sono morti nelle maniere peggiori, decine di migliaia uccisi lentamente con la silicosi, qualche centinaia impazziti, altri mutilati, che le istituzioni hanno tranquillamente messo nel dimenticatoio. E da quel momento, ormai da tre anni, ogni giorno (e anche qualche ora di notte) ho impegnato parte del mio tempo per creare un nuovo libro che vedrà la luce in ottobre dove oltre a narrare con racconti brevi queste vite in una specie di particolare romanzo-verità, racconto anno per anno gli avvenimenti politici e sociali legati al fenomeno visti dalla stampa italiana dal ‘46 fino al ’72 e riporto alla luce, per un attimo i nomi e i fatti della morte di gran parte di questi nostri dimenticati fratelli finiti tragicamente, sepolti vivi, asfissiati, schiacciati da frane enormi, bruciati, annegati, dilaniati, nel ventre della terra durante un lavoro che qualcuno ha definito “il peggior lavoro del mondo”. Voglio che dopo settanta anni dalla firma di quel protocollo ribattezzato poi “braccia in cambio di carbone” (concedeva duecento chilogrammi circa al giorno al governo italiano per ogni italiano occupato nelle gallerie belghe. Non gratis ma un po’ scontato) tutti sappiano che non c’è stata solo la strage di Marcinelle che ha ucciso 262 uomini di cui 136 italiani, ma decine di altre stragi e un’infinità di morti singole che hanno distrutto altrettante famiglie, creando vedove e orfani che hanno vissuto il loro dolore nell’indifferenza di chi li aveva mandati incontro alla morte. Non è giusto che se ne parli distrattamente una volta all’anno solo perché Marcinelle non si può dimenticare. Non è giusto che i nostri padri continuino a morire negli ospedali soffocati nel loro sangue perché i loro polmoni sono diventate pietre doloranti. La Morte Nera Violenta e la Morte Nera Paziente devono avere il posto nella storia perché io credo che ogni uomo che le ha subite sia stato un eroe, magari inconsapevole, ma un eroe vero. E gli eroi non vanno dimenticati. Il mio libro è quasi pronto; a voi amici, chiedo solo questo piacere: io ho recuperato quasi 600 nominativi di giovani morti italiani (noi veneti siamo al secondo posto con 74 vittime, superati solo dall’Abruzzo con 81),  in incidenti minerari ma ne mancano ancora tanti. Se tra di voi c’è qualcuno che ha avuto un parente, conoscente, amico di famiglia morto in miniera o a seguito incidente, scrivetemi, telefonatemi, mandatemi una email.  Se non l’ho già trovato lo inserirò grazie ai vostri dati e così insieme gli daremo ancora un attimo di vita. Perché nessuno muore veramente del tutto finché c’è qualcuno che lo ama e lo ricorda. Grazie a voi tutti per l’attenzione e grazie di cuore al Presidente dei Veneti nel Mondo, avvocato Aldo Rozzi Marin per avermi concesso questo importante spazio.